La condizione manicomiale fotografata da Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin.
Oggi vi presento un libro fotografico che ha scosso profondamente la società italiana degli anni ’60: “Morire di classe” di Carla Cerati e Gianni Berengo Gardin, edito da Il Saggiatore.
Questo volume è un prezioso documento storico, capace di farci guardare la realtà da una prospettiva diversa. “Morire di classe” è un progetto coraggioso e toccante, che documenta le terribili condizioni dei manicomi italiani prima della legge Basaglia del 1978, legge che ha portato alla chiusura di queste strutture ed al miglioramento del trattamento dei malati psichiatrici.
Prima di tale riforma, immaginate i manicomi più come luoghi di reclusione che non di cura. Erano spesso situati in strutture vecchie e fatiscenti, dove l’igiene lasciava molto a desiderare e le condizioni di vita erano al limite della sopravvivenza. In questi ospedali psichiatrici, le terapie erano spesso più punitive che terapeutiche, con l’uso eccessivo di sedativi, elettroshock e altri metodi invasivi. La libertà personale era un concetto praticamente inesistente, con pazienti che venivano frequentemente legati o rinchiusi in celle di isolamento.
Le fotografie di Cerati e Berengo Gardin colpiscono duramente la coscienza della società dell’epoca, e ancora oggi ci ricordano l’importanza di andare oltre le apparenze. Immaginate di percorrere i freddi e umidi corridoi di un manicomio degli anni ’60. Le immagini in bianco e nero catturano volti segnati dalla sofferenza, corpi abbandonati e sguardi vuoti. Sono scatti potenti e crudi, che non possono lasciare indifferenti. Ogni fotografia racconta una storia, una vita ai margini, spesso dimenticata. Le immagini di “Morire di classe” vanno oltre la semplice documentazione, rivelando una profonda consapevolezza sociale.
Con uno sguardo attento ma umano, gli autori denunciano una realtà scomoda, spingendo il pubblico a riflettere su questioni a lungo ignorate. Questo libro fotografico si erge come un vero e proprio manifesto visivo, contribuendo in modo significativo al cambiamento. La forza delle immagini ha aiutato a sensibilizzare l’opinione pubblica, favorendo la riforma psichiatrica. Sfogliare queste pagine è un’esperienza emozionante e formativa, che ci ricorda come la fotografia possa essere uno strumento potente per promuovere il progresso sociale. Oltre alla tecnica, la fotografia richiede cuore e coscienza per trasmettere appieno il suo messaggio.
Quante volte un’immagine vi ha colpito più di mille parole? La fotografia ha questo potere magico di catturare l’essenza di una situazione, una realtà, e di trasmetterla in un istante a chi la guarda. E quando si tratta di denuncia sociale, questo potere diventa ancora più evidente. Ogni volta che scattiamo una foto, stiamo documentando un pezzo di realtà che potrebbe non avere voce se non fosse per noi.
Non è necessario essere in zone di guerra o in situazioni estreme per fare denuncia sociale. Anche le piccole realtà locali, le ingiustizie di tutti i giorni possono essere raccontate attraverso la vostra lente. Magari è il quartiere degradato della vostra città, o una causa ambientale che vi sta a cuore. Le vostre foto possono sensibilizzare, smuovere coscienze e magari anche cambiare le cose.
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