“Il mondo di Steve McCurry” è un libro scritto dal giornalista Gianni Riotta che ci fa conoscere la vita ed il lavoro del celebre fotoreporter americano.

E’ una sorta di dialogo-intervista nella quale ho sottolineato molte frasi che ritengo significative per chi ama la fotografia.

McCurry  ci racconta i luoghi, le persone e le atmosfere dei numerosi paesi nei quali si è trovato ad operare in qualità di inviato, soprattutto di guerra.

Ho trovato molto interessante il modo di vedere la fotografia e l’approccio che McCurry ha nei confronti di questa attività.

All’inizio del libro Steve parla di cinema e ne esce un confronto con la fotografia:

“Il cinema è uno show, corale, la fotografia invece……La fotografia è in fondo affidata al singolo fotografo, prendi su e parti, decidi cosa e quando inquadrare, sei solo con te stesso, la tua personalità, la macchina fotografica ed il soggetto da inquadrare, l’immagine da costruire. Perché la devi sempre costruire, dentro e fuori di te, non si tratta di tecnica, ma di attendere, di pazientare, di lasciarsi assorbire dalla scena per poi isolarne un frammento.”

Nella sua vita McCurry si è trovato spessissimo in situazioni molto pericolose e qui si inserisce una sua riflessione altrettanto importante, dice:

“Nessuna fotografia vale una vita. Non la mia, non quella dei miei assistenti, fixer, scout locali, traduttori, autisti. Non quella delle persone che fotografo. Mai. Non sono mai venuto meno a questo giudizio, che per me è un valore etico.”

Una delle domando più frequenti che gli vengono rivolte è quella su come si diventa un affermato fotografo:

“Come si lavora? Come si diventa un professionista? ……Il primo passo è entrare nel sistema, trovarsi un posto in campo, perché senza contatti, senza un aggancio è dura. Se si parte proprio da outsider non resta che farsi coraggio, gambe in spalla ed andarsene in giro da soli, scommettendo sul proprio talento e su un po’ di fortuna, per essere al posto giusto nel momento giusto…….. Tante volte da giovane e non ho viaggiato a mie spese. Questo è il consiglio che mi capita di dare: se vuoi andare vai, quando hai deciso di raccontare una storia parti, non attendere che qualcuno ti scelga altrimenti rischi di restare a casa ad aspettare per tutta la vita.”

E si parla ovviamente anche di luce:

“A New York la luce è bellissima e mi tenta sempre. I miei occhi sono molto sensibili, non amo scattare en plein air, con il sole troppo diretto e brillante. La luce è così anche a Los Angeles e a volte mi ha messo in difficoltà…… Il tempo migliore per il mio lavoro è dunque nel tardo pomeriggio in ogni stagione e di mattina presto, quando il sole ti permette di giocare meglio con le ombre, sfumando il soggetto. La luce naturale è meravigliosa, non la riproduci in nessun modo in studio, io privilegio il cielo annuvolato, grigio, che promette pioggia, luce scura, di cattivo umore se vuoi.”

Fotografia come momento creativo:

“Devi sempre pre-vedere la foto, vedere cioè un fotogramma prima della realtà, come tua composizione che si crea lentamente. Tanti credono che la foto sia prefissata – arrivi, vedi e scatti – ma trascurano il momento magnifico della creazione, quando speri che lo scatto possa arrivare, basta un nonnulla – il vento che cambia, un’auto che passa, una nuvola in cielo – per mutare l’atmosfera. anticipare è la chiave – notare come gli oggetti, le persone, gli elementi della natura si stanno muovendo, e comporli nell’obiettivo – solo a questo punto potrai scattare”.

Da leggere.