Ernesto Fantozzi

In una recente lettura mi sono imbattuto in un fotografo che non conoscevo ma che ho avuto modo di apprezzare per il suo modo di approcciarsi alla fotografia.

Ernesto Fantozzi, classe 1931, milanese, è tra i fondatori del “Gruppo 66” una sorta di circolo fotografico che riuniva appassionati non professionisti con lo scopo di documentare la quotidianità della vita milanese.

Ciò che colpisce in particolare è il preciso intento con il quale queste persone decidono di praticare la fotografia.

La fotografia deve essere fondata sul reale, deve avere una valenza documentaristica per cui si tendono ad evitare tentativi di palese soggettivazione dell’immagine fotografica.

Bisogna mostrare all’osservatore un’immagine il quanto più possibile neutra e fedele alla realtà ritratta.

La sua opera costituisce un patrimonio interessantissimo che ci mostra la vita quotidiana e le trasformazioni a cui andava soggetta la città di Milano in quegli anni che hanno portato profondi cambiamenti nella società e nella geografia dei luoghi.

Il quotidiano, la strada, i cittadini sono i protagonisti.

L’autenticità sembra essere la qualità essenziale nella fotografia.

Osservando le sue immagini mi è venuto spontaneo un pensiero sul connubio esteticità-realtà.

Praticare una fotografia “di reportage” mantenendosi fedeli ed oggettivi senza cadere nella tentazione di rendere quella particolare scena “nostra”,  trasfigurandola, magari con una scelta tecnica od un’inquadratura che possa alterarne il messaggio è un compito molto difficile.

Un’abilità che a mio avviso Fantozzi esercita egregiamente.

La foto della famiglia riunita in salotto che guarda la televisione la trovo meravigliosa.

La luce, i neri, i volti che ci stimolano ad un approfondimento della personalità delle persone ritratte.

Nel 2002 è stato eletto autore dell’anno dalla FIAF ( Federazione Italiana delle Associazioni Fotografiche).


Marco e Domenico, fotografi, appassionati divulgatori, hanno deciso di condividere con voi le loro frequenti chiacchierate e straparlare in modo leggero di fotografia in un podcast.
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