Il mio ultimo acquisto, “Il mondo e il mio obiettivo” della fotografa Gisèle Freund.

Una lettura molto piacevole; la fotografa tedesca si racconta mostrandoci il panorama degli avvenimenti accaduti tra gli anni 40 e gli anni 80 circa.

Può essere considerata una pioniera del fotogiornalismo ed anche della fotografia a colori.

Come è mio solito fare voglio riportare il pensiero diretto dell’autrice su alcuni argomenti e concetti che più mi interessano.

Per la biografia vi rimando ad altre pagine tra cui Wikipedia, purtroppo presente solo in lingua inglese.

Gisèle Freund nelle prime pagine del libro fa un’analisi sul mondo della fotografia che da professione “per pochi” è diventata mezzo di espressione “per tutti”.

“Agli inizi della fotografia le difficoltà tecniche limitavano considerevolmente il numero dei professionisti. A quell’epoca la fotografia era circondata di mistero, con l’aura di una creazione artistica. In seguito, fu possibile a chiunque fare fotografie. Con la comparsa di apparecchi di piccolo formato, portatili ed a buon prezzo, i dilettanti cominciarono a diventare legioni. La macchina fotografica, come il bastone da passeggio, diventò la compagna indispensabile di ogni gita domenicale. Parallelamente a questa evoluzione tecnica, se ne verificò un’altra in campo artistico. I dilettanti diventarono temibili concorrenti per i professionisti, soprattutto in materia di ritratti……..I migliori ritratti dei primi decenni del novecento sono opera di dilettanti.”

Gisèle Freund fu una della prime fotografe ad utilizzare la pellicola a colori:

“Fu nel 1938 che scoprii la pellicola a colori. Era in commercio solo da poco tempo. La Kodak in America e l’ Agfa in Germania producevano una pellicola per piccolo formato che potevo usare con la mia Leica. Oggi milioni di dilettanti fanno foto a colori, ma allora questo procedimento era quasi sconosciuto. Gli stessi professionisti non lo utilizzavano perché, salvo rarissime eccezioni, giornali e riviste non possedevano, almeno in Francia, le attrezzature necessarie per la stampa a colori.”

Un’altro passo del libro molto interessante che ci offre spunto per una riflessione sul “valore” dell’opera fotografica ed artistica in generale è questo (parlando dell’incontro con l’artista messicano Diego Rivera):

“Un giorno gli feci visita nel suo studio a San Angel, alla periferia di Città del Messico. Aveva appena incominciato una tela che rappresentava una giovane donna.

GF: E’ splendida – gli dico quando mi dice che è finita.

GF: Vorrei comprarla.

DR: D’accordo, 10.000 pesos.

Rimango sbalordita.

GF: Come può chiedermi una cifra simile! L’ha realizzata in poco più di un’ora!

DR: Per poterla fare in un’ora mi ci sono voluti più di sessant’anni – mi risponde.”