Garry Winogrand è uno dei più grandi fotografi del 900 che si è cimentato principalmente nella “street photography”.

Ad essere onesti egli definì il termine “street photographer” come stupido in quanto non rivela niente del fotografo e del suo lavoro (odiava le etichette).

Nasce a New York nel 1928 e come molti altri illustri predecessori studiò in principio pittura per poi dedicarsi esclusivamente alla fotografia.

Anche lui fu molto ispirato dall’opera di Walker Evans e Robert Frank.

Il suo fu un lavoro svolto sulle strade delle grandi città americane ed in particolare di New York.

Era affascinato e ossessionato dalle scene di vita comune, reale, che appartengono alla quotidianità.

Girava sempre con la sua Leica 35 mm appesa al collo e scattò un numero incredibile di rullini in tutta la sua carriera.

Ne scattò talmente tanti che neanche lui riuscì a guardarli tutti.

Consumava una media di circa 12 rullini fotografici al giorno, il che equivale a circa 400 foto.

Se moltiplichiamo 400 per 30 anni di carriera circa, ecco aggirarci intorno ai 5 milioni di scatti.

E se fosse vissuto oggi, con il digitale?

Nel 1975 realizzò “Women are beautiful”, una raccolta di fotografie che vogliono essere un omaggio alla bellezza femminile colta nelle scene di tutti i giorni.

La fotografia non consiste nello scattare una foto carina ma nel cercare un modo di trasformare il mondo reale in qualcosa di completamente differente.

Osservate le foto qui sotto e noterete come sembra non preoccuparsi troppo di rispettare la “regola” dell’orizzonte dritto.

Non se ne cura perché vede altre linee in particolare quelle verticali e perché le sue foto sono frutto di spontaneità; e la spontaneità può prevedere un orizzonte storto!

La foto qui sopra se provate a raddrizzarla con photoshop (orrore!) vedrete che non sarà la stessa cosa, non sarà più spontanea e non ci trasmetterà più quell’idea di attimo di vita fugace colti nella quotidianità delle persone comuni.

In un’intervista Garry Winogrand afferma: “[…] per me l’essenza della fotografia è catturare un pizzico di realtà (qualunque essa sia) su pellicola. Se poi quell’immagine significa qualcosa per qualcuno, allora tanto meglio”.

Non sviluppava mai subito i suoi rullini.

Lasciava trascorrere del tempo per avere un giudizio più distaccato ed oggettivo sul risultato del proprio lavoro.

Aveva la capacità di mimetizzarsi tra le persone e di non venire notato.

Come si osserva da un film fatto su di lui maneggiava la macchina fotografica fingendo a volte che la stessa avesse dei problemi.

La portava velocemente agli occhi per inquadrare la scena e scattava.

Quando veniva scoperto sorrideva.

“Quando fotografo, vedo la vita. Questo è ciò di cui mi occupo. Non ho la foto in testa. Inquadro in termini di ciò che voglio includere e naturalmente, quando voglio scattare l’otturatore. E non mi preoccupo di come appariranno le immagini, lascio che si prendano cura di se stesse. Sappiamo troppo su come le immagini sembrano e dovrebbero apparire. E vai in giro a fare quelle foto ancora e ancora. È un modus operandi,  inquadrare in termini di ciò che si desidera avere nella foto non su come fare una bella foto. Che chiunque può fare”.