Sebastião Salgado

Salgado è uno dei miei fotografi preferiti.

L’immagine che vedete sopra è la copertina di un suo libro dove egli si racconta.

Salgado nasce nel 1944 a Aimorés, stato di Minas Gerais, Brasile.

Si laurea in economia e comincia la sua carriera come fotografo in Francia, dove va a vivere nel 1969.

Dal 1979 entra a far parte della prestigiosa agenzia Magnum.

In questo libro esordisce affermando che “Chi non ama l’attesa non può essere fotografo”.

Parlando del suo lavoro “Genesis” ci racconta di come è riuscito a fotografare una grande tartaruga.

“Ogni volta che mi avvicinavo, la tartaruga si allontanava. Ci misi un giorno intero per acquistare la fiducia dell’animale e riuscire a fotografarlo da vicino.

Decisi che dovevo comportarmi come facevo con gli esseri umani: non mi presento mai di sorpresa o in incognito, ma prima mi avvicino, parlo spiegando il lavoro che svolgo e poi faccio conoscenza.

Per fotografare ci vuole pazienza nell’attesa che qualcosa succeda. Nella maggior parte dei casi non vi è modo di accelerare questo processo.”

“Genesis” è nato da un progetto ambientalista concepito in Brasile insieme alla moglie Lélia Deluiz Wanick Salgado, sposa, compagna e socia in tutto nella sua vita.

Il progetto si chiama “Istituto terra” ed ha lo scopo si fare ricrescere nuovamente la foresta subtropicale che sta scomparendo.

Per fare capire l’importanza degli alberi per il nostro ecosistema Salgado utilizza una simpatica metafora:

“Vi farò un piccolo esempio che capirete molto facilmente. Voi fortunati che avete ancora tanti capelli in testa, se vi fate una doccia, vi servono due o tre ore per fare asciugare i capelli se non usate un asciugacapelli. Per me, in un minuto sono già asciutti. Lo stesso con gli alberi. Gli alberi sono i capelli del nostro pianeta. Quando c’è pioggia in un luogo senza alberi, in pochi minuti, l’acqua arriva nei torrenti, portando terriccio, distruggendo le nostre sorgenti,distruggendo i fiumi, e non c’è umidità da trattenere. Quando ci sono alberi, il sistema di radici trattiene l’acqua. Tutti i rami degli alberi, le foglie che cadono, creano un’area umida, e l’acqua ci mette mesi e mesi sottoterra per arrivare ai fiumi, e mantenere le nostre sorgenti e i nostri fiumi. Questa è la cosa più importante, se pensiamo che ci serve l’acqua per ogni attività della nostra vita.”

Nel 1964, un colpo di stato condotto dal maresciallo Castelo Branco decretò la fine della Repubblica.

Venne così istituito un regime militare che durò fino al 1985.

Fu così che nel 1969 Salgado e la sua compagna Lélia decisero di trasferirsi in Francia: la patria dei diritti umani e della democrazia.

La sua passione per la fotografia cominciò quando Léila, che frequentava la facoltà di architettura, prese una macchina fotografica che le serviva per fotografare alcuni edifici.

Fu amore a prima vista.

Nel 1971 Salgado trovò un lavoro a Londra nell’organizzazione internazionale del caffè, dove intendeva scrivere la sua tesi per il dottorato.

La sua funzione era quella di organizzare e finanziare con il Banco Mondiale e la FAO progetti di sviluppo economico in Africa.

Durante i suoi numerosi viaggi in Ruanda, Burundi, Zaire Kenia e Uganda percepì che le foto che scattava lo lasciavano molto più felice delle relazioni che doveva scrivere di ritorno dai suoi viaggi.

Fu così che decise di abbandonare l’economia.

Era il 1973.

“Quando mi chiedono come sono arrivato alla fotografia sociale io rispondo: è stato come un prolungamento del mio coinvolgimento politico e delle mie origini. Vivevamo circondati da esiliati che, come noi, stavano fuggendo dalle dittature del Sud America, ma anche dalla Polonia, dal Portogallo, dall’Angola….Così è stato naturale cominciare a fotografare emigranti e clandestini. Il mio amore per l’Africa mi portò a dedicargli il mio primo grande lavoro di reportage.”

Nel 1975 fu ammesso nella maggiore scuola di fotogiornalismo, l’agenzia Gamma.

“Per fare buone foto, occorre sentire molto piacere. E’ impossibile passare 5 anni della propria vita in Africa senza di fatto amare quel continente. Inutile sforzarsi di contemplare persone che lavorano se questo non ci interessa. Per rimanere vari mesi dentro una miniera, è necessario avere una reale motivazione.”

Nel 1979, in seguito alle legge sull’amnistia, Salgado fece ritorno in Brasile e cominciò a fotografare il suo paese.

In Brasile realizzò alcune delle sue foto più conosciute e più forti, quelle scattate nella miniera d’oro di Serra Pelada, nello stato del Parà. Una miniera scoperta nel 1980.

Nel 1984 Medici senza frontiere lanciarono una campagna di assistenza alimentare e medica per le popolazioni vittime della siccità che stava devastando il Sahel uccidendo migliaia di persone. Salgado fece un grosso reportage durato circa 18 mesi attraversando i paesi più colpiti come Mali, Etiopia, Sudan e Chad.

Con questo lavoro, Salgado, ricevette, nel 1985, il premio World press ed il premio Oskar Barnack.

Nel 1984, in Brasile, viene creato il movimento dei lavoratori contadini senza terra (MST) che rivendicava la possibilità di coltivare le numerosissime terre improduttive ed abbandonate dai grandi proprietari terrieri. Salgado seguirà questi lavoratori della terra per circa 15 anni producendo un lavoro che verrà chiamato “Terra”, pubblicato nel 1996.

“La fotografia è una forma di scrittura tanto forte perché può essere letta in tutto il mondo senza traduzione”

Sempre negli anni 80, Salgado e la moglie Lélia, decidono di dedicarsi ad un altro progetto “Trabalhadores”, lavoratori. Intendono esplorare tutte quelle attività lavorative dove ancora la mano dell’uomo risulta fondamentale. Il libro venne pubblicato nel 1993.

Altro progetto sfociato in libro è “Exodus” in cui viene raccontata la storia di tutte le popolazioni obbligate a lasciare le proprie case per ragioni economiche, religiose, climatiche o politiche.

Exodus è un’altro lungo lavoro, circa sei anni di peregrinazioni attraverso numerosi paesi tra cui India, America Latina Iraq, Balcani, Africa e molti altri.

Nel 2002 nasce il concetto dell’opera “Genesis”.

Questo lavoro dura 8 anni e intende essere una sorta di celebrazione del nostro pianeta ed in particolare della natura rimasta ancora “incontaminata”.

Il messaggio è chiaro: dobbiamo assolutamente fare di tutto per preservare il nostro pianeta!

“Lélia ed io abbiamo programmato minuziosamente gli otto anni che avrei passato percorrendo il mondo a piedi, a bordo di piccoli aerei, barche, canoe e persino in mongolfiera……Questi anni sono stati magnifici, dandomi un’immensa allegria. Dopo aver visto tanti orrori, ho visto tanta bellezza”.

Nel bel mezzo del progetto “Genesi” Salgado passa dall’analogico al digitale.

“Una rivoluzione…..L’undici di settembre ha sconvolto la vita dei fotografi. Viaggiare con le pellicole era diventato un inferno dopo l’installazione di numerose porte di sicurezza negli aereoporti. Quando una pellicola passa 3 o 4 volte attraverso i raggi X, la gamma dei grigi soffre di alterazioni….Philippe Bachelier, un mio amico fotografo e grande ricercatore in campo digitale, mi garantì che era possibile ottenere una grande qualità con le nuovissime fotocamere digitali reflex. Nel giugno del 2008 abbiamo cominciato a fare dei test comparativi. Canon mi prestò la sua fotocamera più sofisticata , la 1D Mark III. Constatai che, visti gli eccellenti risultati, potevamo proseguire in questa direzione.”

“Se avessi lavorato con il digitale venti anni fa, oggi avrei il doppio delle foto”.

Nel 2014 esce il documentario “Il sale della terra” diretto da Wim Wenders e dal figlio Juliano Ribeiro Salgado.

Qui sotto un video in cui Salgado tiene una conferenza TED TALK dove illustra la sua vita ed il suo lavoro con particolare attenzione verso la cosa che gli sta più a cuore: la salvezza del nostro pianeta terra.


Marco e Domenico, fotografi, appassionati divulgatori, hanno deciso di condividere con voi le loro frequenti chiacchierate e straparlare in modo leggero di fotografia in un podcast.
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